Rut

Lontananze di silenzio, in quell’estate strana.
E la tua voce spaziosa,
il tuo accento da straniero, morbido, lontano:
«Come sei bella. Io a te ti sposo.»
Per poco la conocchia non cadeva dalla mano:
«Tu per me sei pazzo. Mio padre poi t’ammazza.»
Ma il cuore galoppava nel pozzo del mio petto.
«Tu non mi conosci, a me niente mi ferma.»
Avevi ragione, amore, il Niente t’ha fermato:
te ne sei andato, stringendomi la mano.

«Di chi è quella ragazza?»
La tua voce che ritorna, dagli abissi del frattempo.
Per poco la spiga d’orzo non mi cade dalla mano.
Crudelmente ti somiglia, adesso, tuo cugino.
Come te si muove, come te saluta.
Ha ciglia lunghe sopra gli occhi scuri
fili bianchi tra i capelli – a te non fu concesso.
Dicono che è stato molto buono con la moglie,
quella felice anima che è morta
col bimbo ancora chiuso nel suo cuore
(che il santo suo ricordo sia benedizione).
Dicono che da allora non ha toccato donna
ed ha girato la faccia contro il muro.

Le stelle fisse d’estate ampie sui campi
sotto il suo mantello, adesso, mentre dorme
io veglio il suo silenzio, il mio respiro.

Paola Deplano

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